Cerca nel blog

11 giugno 2017

Autobio 4: La Mucca Carolina

A sette anni, come tutti i bambini dell'epoca, passavo molto tempo nel giardino di casa. Giocavo per lo più da solo, ma a volte non disdegnavo, per noia, la compagnia del moccioso mio omonimo che viveva nella casa a fianco. Lui era più piccolo, poteva avere quattro anni. I grandi  ci invitavano caldamente a giocare insieme, ma ognuno rigorosamente nel proprio giardino. E dunque noi giocavamo separati da una rete metallica.
Nelle ore calde del primo pomeriggio estivo, quando i genitori pisolavano a letto dopo abbondanti libagioni, io mi dovevo ingegnare a inventare dei giochi da fare con Stefanino (il diminutivo era necessario per distinguerlo dal sottoscritto). Ero consapevole del mio ruolo di leader e esercitavo il comando con fermezza ma anche con bonarietà. Dunque, dopo mangiato, chiamavo a gran voce il mio compagno di giochi e lui si presentava immancabilmente al suo posto dall'altra parte della rete.
Un giorno però Stefanino se ne esce trascinando con sé un oggetto ingombrante, totalmente inatteso: capisco immediatamente, e con angoscia, che si tratta proprio della mucca Carolina, gadget favoloso e vero e proprio oggetto del desiderio per i bambini dell'epoca. Si vinceva con la raccolta punti Invernizzi, acquistando grandi quantitativi di formaggini e di burro Milione. Per me era totalmente fuori portata: io ero figlio unico e sapevo bene che non ce l'avrei fatta mai a mangiare abbastanza formaggini. Lui invece era di famiglia numerosa, aveva fratelli più grandi, evidentemente divoratori di formaggini Milione.
Fu proprio questa ingiustizia sociale a far scattare in me un'invidia irrefrenabile. Che fare? Tentare di rubargliela? Inutile, i grandi mi avrebbero sgamato subito. Decisi che se io non potevo averla, non avrebbe dovuto averla neanche lui. Lo stronzetto pareva aver intuito il flusso angoscioso dei pensieri che mi stavano frullando per la testa e iniziò a farsi bello esibendosi in un'ostentata serie di esercizi ginnici a cavallo della mucca che riuscirono a farmi uscire dai gangheri.
Subdolamente però mantenni la calma e cercai di giocare d'astuzia. Convinsi dunque il poppante che sarebbe stato divertente lanciarsi la mucca da una parte all'altra della rete. Il mio piano era ovviamente provocare l'accidentale foratura della mucca al contatto con gli spuntoni metallici che la rete portava alla sommità. Valutai rapidamente le conseguenze del mio gesto: Stefanino avrebbe forse frignato un po', ma io non sarei potuto essere ritenuto responsabile dell'increscioso incidente.
Il bimbetto accettò come sempre di buon grado di giocare. La cosa proseguì per un bel po': ci lanciammo la mucca per molti minuti. Essa colpiva sì gli spuntoni, ma il suo modesto peso era probabilmente insufficiente alla realizzazione del mio scopo.
Capii che la cosa sarebbe andata avanti all'infinito e che tra poco il lattante avrebbe reclamato la mucca, se ne sarebbe rientrato a casa e io sarei rimasto a rodermi per l'invidia. Toccava decidere rapidamente. All'ennesimo lancio della mucca dalla mia parte della rete, capii che i mali erano estremi e quindi dovevano esserlo anche i rimedi. Entrai in casa e mi procurai un minuscolo coltellino a serramanico, un coltellino dalla lama cortissima e nemmeno affilata, credo non più 3 o 4 centimetri, che avevo trovato qualche tempo prima.
Nascondendo il coltellino nella mano, mi presi un certo tempo per esaminare con attenzione e con piglio scentifico la mucca. Stefanino, leggermente allarmato, piagnucolava e chiedeva di ridargliela. Ad un tratto con la freddezza di un killer piantai il coltellino nelle morbide carni gommose della mucca, che iniziò a sgonfiarsi con un sibilo sinistro. Il moccioso iniziò a urlare come posseduto dal demonio e io mi resi conto istantaneamente di avere fatto una cazzata, perché con la coda dell'occhio vidi mio padre uscire in giardino proprio in quel momento. Evidentemente la mia nefandezza  era stata troppo scoperta, perché non gli ci volle neppure un secondo per capire l'enormità del mio gesto: si fece consegnare il coltellino che io penosamente tentavo di occultare e me le diede di santissima ragione.
Il dolore fu cocente, perché mio padre non mi aveva praticamente mai gonfiato e anche negli anni a venire ciò sarebbe avvenuto assai di rado. Stefanino per alcuni giorni mi evitò, ma poi col tempo la cosa fu dimenticata. Un giorno vidi che, con la nuova raccolta punti, aveva ricevuto in regalo Susanna tutta panna, altro pupazzo gonfiabile Invernizzi. Lui, a scanso di equivoci, la tenne sempre a debita distanza dalla rete. Ma chissenefregava: quella era roba da bambinette, vuoi mica mettere la mucca Carolina?

Nessun commento:

Posta un commento