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29 agosto 2023

Quando la musica ci fa violenza


Cercavo un termine per indicare l'onnipresente somministrazione di musica non richiesta che tutti dobbiamo subire in qualsiasi luogo pubblico. Mi piaceva chiamarla "musica passiva" in analogia con il "fumo passivo", ma poi ho scoperto che Nicola Piovani aveva già coniato questo termine nel 2012. Meglio così, sarà più facile spiegare qualcosa che è già di dominio pubblico. 

Dunque la musica passiva è il sottofondo musicale continuo cui siamo sottoposti non appena mettiamo piede in un luogo pubblico, ovvero usciamo dal nostro isolamento e cerchiamo il contatto umano. Nata come illusorio antidoto all'horror vacui dell'umana esistenza, la musica passiva ha fatto piazza pulita del sano silenzio, ma ha certamente anche una grande responsabilità nello svilimento e nel disinteresse che il grande pubblico prova per la musica attiva e per chi ancora eroicamente prova a farla. 

Il motivo è che è proprio la musica passiva, con la sua invasività, a definire la tipologia standard di fruizione della musica da parte del pubblico, ovvero quella di perenne sottofondo da abbinare ad altro. Ragion per cui non ha più molto senso parlare di generi musicali, ma meglio sarebbe classificare la musica secondo la categoria merceologica a cui essa viene abbinata nell'apposita compilation Spotify: reggaeton o dub da beach bar, elettronica lo-fi da spritz, easy jazz da dopocena al ristorante, country loffio da birreria, lounge da ascensore o da aeroporto, unz unz da negozio di abbigliamento low cost, musica trap da unieuro o da supermercato, cover dei beatles in salsa Bacharach da sala d'attesa del dentista, e così via. 

[Si noti che nella sola area del Salento tutti i succitati generi musicali confluiscono nella Pizzica, ma questa è un altra storia.]


E' chiaro che il livello di insofferenza che proviamo verso la musica passiva è fortemente soggettivo. In generale mi pare di capire che chi è abituato a fare musica o a dedicare alla propria musica preferita ascolti attenti e meritevoli di concentrazione percepisca la musica passiva come una grande violenza, mentre gli altri sembrano non patirla affatto. 

Vi è inoltre un altro uso riempitivo della musica che, come la musica passiva, personalmente subisco con fastidio, ma che di nuovo sembra non dare noia alla maggioranza delle persone. Mi riferisco a quella che definirei "musica in tranci", o se preferite "musica al taglio":  tranci di lunghezza variabile di canzoni di successo o di altre musiche molto popolari, tradizionalmente usati per farcire gli spot pubblicitari, vengono sempre più utilizzati ogniqualvolta vi sia un momento di attesa da colmare. 

Questo avviene per esempio durante manifestazioni sportive, tipo partite di tennis o pallavolo, ma anche in certi reality televisivi, ad esempio tra un frammento e un altro di un'intervista. In questo caso non si tratta di musiche di sottofondo, perché il volume può essere anche altissimo, ma è la durata a fare la differenza. Il trancio deve essere abbastanza breve da distillare un singolo messaggio relativo a un preciso stato d'animo, stravolgendo però il concetto di sviluppo e di dinamica che probabilmente era nelle intenzioni dell'autore. 

Potrebbe trattarsi dunque di un'estensione commerciale del concetto di campionamento, peraltro alla base dell'asfittica produzione musicale odierna, e che in fin dei conti è il riutilizzo di un mattoncino di qualcosa di preesistente per creare qualcosa di nuovo, ma che quasi certamente non avrà alcuna attinenza logica, né estetica, con l'intenzione primigenia del materiale da cui viene estratto.

Per fare un esempio, la celebre "Ma il cielo è sempre più blu", che è una canzone martoriatissima e proposta sempre attraverso il singolo trancio di ritornello che contiene il verso omonimo, è perennemente impiegata per veicolare a livello di marketing uno stato d'animo di euforia incontenibile per una nuova tariffa telefonica, per un istituto bancario, per i saldi imminenti, o per un monster block da parte della squadra di pallavolo di casa. 

Ora, potrà piacere o meno, ma il ritornello della canzone originale, per come è stata pensata, trae il suo significato dal crescendo ossessivo nel giro armonico che lo precede, con l'interminabile lista di casi umani citati. Se invece il ritornello viene proposto in isolamento, ogni significato viene stravolto. Questa incongruenza sembra non essere percepita dalla maggioranza delle persone, e del resto l'autore è morto da tempo. 

Inoltre, capita raramente, ma capita che il materiale saccheggiato sia qualcosa di mio gusto: in questo caso a volte i pochi secondi di durata del trancio sono sufficienti a precipitarmi nell'atmosfera di quella canzone o di quella musica. Se questo disgraziatamente avviene, subirò come una forte violenza l'inevitabile e brusca fine prematura del trancio, che avverrà in un momento qualsiasi e senza alcun preavviso. 

Negli spot pubblicitari, soprattutto radiofonici, le esigenze di minutaggio potranno poi richiedere un'ulteriore devastazione del materiale originale, ovvero l'eliminazione di alcune battute di silenzio, ad esempio nel turnaround, oppure di un pezzo di strofa ritenuto non necessario, allo scopo di non sprecare secondi preziosi. Il pezzo ne risulterà orrendamente mutilato e sgangherato nella struttura e nella ritmica, ma ovviamente il pubblico target del messaggio pubblicitario non se ne accorgerà.

Per chiudere: mi sembra di poter concludere che musica passiva e musica in tranci, che è comunque passiva, siano le modalità maggioritarie di fruizione della musica di oggi, relegando le modalità tradizionali a un ruolo minoritario. Del resto, anche parlando di musica fruita in modo un tantino più attivo e consapevole, la scelta dei brani oggi viene per lo più demandata a un qualche intermediario, siano i programmi radio, siano gli algoritmi che generano le compilation di Spotify. Fanno eccezione i rari e agguerriti acquirenti dei vinili, che poi sono gli oggetti feticcio per eccellenza di chi tenga alla propria decisionalità in termini di scelte musicali. 

E qui il discorso potrebbe andare avanti a lungo ma stancherebbe anche gli ultimi strenui lettori faticosamente arrivati fin qui.