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11 giugno 2017

Autobio 3: Ruffatto

Mi sembra fosse il '76 o forse il '77. Interminabile assemblea di istituto al Liceo Scientifico Enrico Fermi di Padova. Caldo, lieve sudore, schiamazzo, fumo, canne, anfibi, eskimi, gonne fiorate, zoccoloni. Si discuteva non so perché della destinazione d'uso della palestra, che avrebbe richiesto non so quale intervento di recupero. Interventi fiume di compagni che spiegavano la funzione di aggregazione della palestra intesa come luogo, o forse non luogo, non ricordo.
Si alternavano per lo più oratori in stato di ebbrezza, appartenenti alle tre liste di istituto più rappresentative, ovvero quella più a destra, assimilabile al PCI e le altre due, che chiamerò per semplicità Maoisti Metropolitani e Trotskisti Irridentisti, tanto per dare dei nomi.
Il tono della discussione era volutamente lontano da ogni parvenza di concretezza e meno che mai ci si proponeva di formulare uno straccio di progetto praticabile. Al contrario si giocava di fioretto su una notevole varietà di spunti di discussione, alcuni dei quali, con un adeguato approfondimento, avrebbero potuto in seguito diventare dei concetti, o addirittura delle idee. Da ore però la discussione languiva, complice anche l'aria satura dei vapori di cannabis.
A un certo punto, con nostra sorpresa, guadagnò il microfono una studentessa che conoscevamo appena, grembiule nero, aspetto sobrio da suora laica, pelle lucida con comedoni, capelli neri opachi leggermente unti con scriminatura centrale. L'assemblea si zittì, pur con l'inerzia causata dal torpore collettivo e a poco a poco si capì che avevamo di fronte un essere alieno, forse appartenente all'ambiente cattolico di cui si favoleggiava l'esistenza. Un essere insomma mai visto prima, che prese ad esporre, a nome di un gruppo studentesco mai sentito che pareva tuttavia fare riferimento alla Democrazia Cristiana, un concreto progetto, di cui pochissimi capirono qualcosa, ma che a me piace ricordare come un ingegnoso meccanismo semovente su rotaie che avrebbe consentito di trasformare alla bisogna la palestra in una qualche altra cosa che mi sfugge.
Iniziò a salire un certo brusio di disapprovazione, ma tale era la sorpresa che qualcuno avesse realmente pensato di dare un contributo concreto, che il dissenso rimase tutto sommato confinato sotto pelle. Fu a quel punto che la studentessa, allo scopo di rendere più credibile la propria proposta, asserì che il gruppo studentesco di cui era portavoce aveva già contattato un professionista che avrebbe di lì a poco spiegato i dettagli realizzativi della palestra semovente.
E godendosi il piacere di dosare l'attesa che prelude la chiamata dell'ospite d'onore, come fosse una presentatrice consumata, usando una di quelle abusate formule tipo: "è con vero piacere che...", "non mi resta che chiamare...", "siamo onorati di avere con noi..." chiamò a parlare, ricordo questo nome come fosse ora, l'architetto Ruffatto.
Lo stupore collettivo raggiunse un livello inimmaginabile quando da un punto imprecisato al centro della sala si materializzò un omino sorridente, dal piglio deciso che si diresse determinato verso il palco. Era la prima volta che sentivamo il nome dell'architetto Ruffatto, e così credo fosse per l'intera assemblea. L'omino aggiustò il microfono e iniziò a leggere da un plico in cui si intravvedevano disegni. Nessuno fiatava, non tanto per rispetto, né tanto meno per una qualche forma di interessamento alle questioni tecnico pratiche, quanto per la piega surreale che l'incontro assembleare aveva preso.
E finalmente, a normalizzare la situazione, fu il guizzo di un genio. Non erano passati più di trenta secondi dall'inizio dell'esposizione del progetto, che dal centro dell'assemblea, non so come sia stato possibile, si sollevò uno striscione di notevoli dimensioni vergato da sapienti mani che portava la scritta in caratteri rossi: RUFFATTO MERDOSO SARAI APPESO. Fu un attimo. L'architetto vacillò e perse sicurezza. L'assemblea capì che la vittoria era alla portata. Alte grida si levarono, ostili ma anche liberatorie, unite a ingiurie irripetibili. L'architetto fuggì come un ladro. Della palestra semovente su rotaie non si fece più nulla.

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