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21 maggio 2023

Sabato di Pioggia

Ho sempre sofferto le giornate in cui la pioggia è irrefrenabile e non dà tregua, specie in tarda primavera, con la bella stagione che è sì dietro l'angolo, ma non vuole proprio venire. Stamattina però, guardando mesto al di là del vetro il tedioso sgocciolare, ho avuto, come un'improvvisa folgorazione, il ricordo vivissimo di un altro sabato di pioggia di circa 55 anni fa.


Sicuramente anche allora era tarda primavera, anche se non sono proprio certo che fosse maggio, ma magari sì. Potevo avere circa otto anni ed ero, chissà perché, totalmente ossessionato dalla toponomastica della città in cui vivevo, Padova. Studiavo per ore la mappa della città e cercavo di associare ad ogni via o piazza l'immagine di un luogo conosciuto. Il centro della città mi era già molto familiare, ma la periferia presentava enormi lacune. Più di ogni altra cosa mi appassionava la rete auto-filo-tramviaria della città, perché il percorso di una linea di autobus poteva facilmente mettermi in collegamento mentale con questa o quella zona e facilitarmi nella familiarizzazione.

Quel sabato mattina mio padre era a casa, probabilmente si annoiava quanto me per la pioggia incessante e mi chiese se volessi andare da qualche parte con lui, lasciando dunque a me la scelta della destinazione. Era un'occasione irripetibile per esplorare una zona nuova e dunque gli chiesi di portarmi fino al capolinea dell'11, una linea di autobus che senz'altro non avevo mai preso e che percorreva il misterioso quartiere di Montà, fino alla remotissima località di Ponterotto, un nome che trovavo estremamente affascinante.

Lui non batté ciglio ed esaudì questo mio desiderio: raggiungemmo in autobus sotto la pioggia interminabile una qualche fermata del centro e aspettammo tra gli ombrelli l'arrivo dell'11. Salimmo e io mi sedetti con lui nella prima fila, vicino al conduttore dell'autobus per godere bene della vista del paesaggio che, dopo poche curve, iniziò a dipanarsi tra caseggiati e vie a me ignote. Finalmente giungemmo al capolinea, dove non c'era traccia del ponte diroccato che io m'ero figurato, ma un borgo anonimo di periferia. Non era per me interessante scendere dall'autobus e mio padre, data la pioggia, o forse l'assoluto disinteresse per il luogo, non insisté per convincermi a farlo. Quindi aspettammo pazienti sull'autobus il ritorno del conduttore, il quale fu assai sorpreso che noi fossimo ancora lì. Mio padre gli spiegò il motivo, e che no, non ci eravamo sbagliati. Senza alcun intento canzonatorio, aggiunse: "Cossa vol, ghe piase i autobus". Il conduttore annuì, ritenendo che io avessi tutti i diritti di sapere cosa ci fosse dietro le Colonne d'Ercole e ripartimmo verso il centro città.

Io ero molto fiero di aver imparato qualcosa di nuovo sulla toponomastica cittadina e sarei stato già appagato così, ma mio padre mi portò di sua iniziativa in un negozio di giocattoli e mi chiese di scegliere qualcosa. Io optai per una trottola magica che in quegli anni andava per la maggiore e che era spesso pubblicizzata su Topolino, il "Trottolo Wiz-z-zer" e tornammo a casa. L'ultimo ricordo che ho di quella mattinata è il collaudo della trottola che feci seduto sul pavimento del soggiorno, eccitatissimo, ma anche un po' ansioso perché a breve mia madre avrebbe servito il pranzo e avrei dovuto smettere.

Quello è stato forse l'unico giorno di pioggia battente in cui sono stato davvero felice per un momento e di cui oggi, in questo desolante sabato piovoso di 55 anni dopo, ho provato nostalgia.

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